ASTACO


La parola italiana “àstaco”, sost. m. s., pl. “àstaci” [lat. astăcus, gr. ἀστακός /astakós/, "gambero"] si riferisce al gambero di fiume, un piccolo crostaceo che assomiglia a un'aragosta in miniatura, completo di chele, corpo segmentato e un certo senso di dignità offesa quando viene disturbato.

L'astaco appartiene all'ordine Decapoda, che significa “dieci zampe”. Le zampe anteriori si sono sviluppate in chele, usate degli astaci sia per difendersi che per nutrirsi. L'habitat di questi animali comprende fiumi, torrenti e laghi d'acqua dolce pulita, ma sempre dove l'acqua è ben ossigenata. Sono animali notturni che si nutrono strisciando sul fondo alla ricerca di vermi, insetti, materia vegetale e, occasionalmente, piccoli pesci.

Gli astaci respirano attraverso branchie nascoste sotto il carapace (cfr. La parola della settimana del 22 giugno 2025) e sono sorprendentemente sensibili all'inquinamento: infatti, il loro declino in molti corsi d'acqua europei durante il XIX e il XX secolo è diventato un barometro vivente della contaminazione industriale.

I Greci e i Romani li conoscevano bene. Aristofane li inserisce in passaggi comici e i Romani, che non si lasciavano mai sfuggire una prelibatezza, li mettevano frequentement nelle loro ricette di cucina. Plinio il Vecchio li menziona come astaci fluviales, una variante d'acqua dolce distinta dall'astice marino. Nel Medioevo e nel Rinascimento, non erano solo un alimento, ma anche una medicina; gli speziali prescrivevano la polvere di guscio di gambero come presunta cura per disturbi che andavano dall'indigestione alla peste. Si racconta che la gente spruzzasse la “polvere di astaco” nella speranza di tenere a bada la peste nera.

Nella gastronomia italiana, l'astaco era un tempo più importante di quanto non lo sia oggi. Lo si trova in antiche ricette di zuppe, risotti e stufati: la sua carne è apprezzata per il sapore delicato e leggermente dolce. Nel corso del tempo, tuttavia, la relativa scarsità naturale e l'inquinamento dei fiumi lo hanno fatto cadere nell'oblio. I buongustai moderni possono più frequentemente trovare nei menu il termine generico “gamberi” (che comprende gamberi di fiume e gamberi di mare) piuttosto che il termine  specifico “astaci”. Nel Nord Europa, in particolare in Scandinavia, dove di celebrano sagre a base di gamberi chiamate “kräftskiva”, la tradizione si perpetua con maggior calore.

Il termine greco ἀστακός indicava sia il gambero di fiume, sia l’aragosta marina, ma nella lingua antica si caricò presto anche di un senso figurato: quello di qualcosa di ostinato, inflessibile, duro a piegarsi. Il latino lo accolse come astacus, e dall’eredità latina nacque l’italiano astaco, rimasto fedele al significato zoologico originario, senza deviazioni metaforiche.

Le altre lingue hanno preso invece strade diverse. In francese, il crostaceo d’acqua dolce è diventato écrevisse, parola che non discende dal greco ma dall’alto tedesco antico krebiz, cioè “granchio”: un’altra creatura con chele, scelta a designare anche questo animale. L’inglese, a sua volta, ereditò dal francese medievale crevise, che con il tempo si evolse in crayfish (o crawfish, negli Stati Uniti), trainato  dall’associazione spontanea con fish, "pesce", pur trattandosi di un crostaceo.

Così, da un’unica radice greca, le lingue d’Europa hanno sviluppato denominazioni diverse, riflettendo ciascuna le proprie contaminazioni storiche e culturali: l’italiano con la sua fedeltà al modello classico, il francese con il prestito germanico, e l’inglese con la creatività dell’uso popolare.

Quindi, l'astaco è allo stesso tempo una creatura zoologica, un fossile linguistico del greco e del latino, un testimone della storia ambientale dell'Europa e, quando non ha la sfortuna di essere cotto a fuoco lento con aglio e pomodoro, un timido piccolo abitante dei limpidi torrenti di montagna.


Astaco della Louisiana (Procambarus clarkii).

È una specie di gambero d’acqua dolce, fortemente
invasivo, importato dalla Louisiana. Si diffonde
molto velocemente: divora piante e piccoli
animali acquatici, impoverendo l’ecosistema.
Immagine tratta da
torbieresebino.it.

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