STEINBECK
Dopo aver frequentato la Stanford University senza però laurearsi, Steinbeck svolse diversi lavori – operaio, bracciante, lavoratore in fabbrica – mentre coltivava la sua vocazione letteraria. Questa combinazione di curiosità intellettuale ed esperienza concreta gli conferì una prospettiva unica: era in grado di osservare la società sia dall’interno che dall’esterno, unendo l’acutezza dell’osservatore alla comprensione di chi aveva vissuto le difficoltà sulla propria pelle. Le sue prime opere, tra cui Cup of Gold (La Santa Rossa, 1929) e To a God Unknown (Al Dio sconosciuto, 1933), rivelavano già il suo interesse per il mito e la resilienza umana, ma fu con Tortilla Flat (Pian della Tortilla, 1935) che ottenne il suo primo vero successo. Il romanzo, con il suo affettuoso ritratto di un gruppo di paisanos emarginati che vivono ai margini della società di Monterey, conquistò critica e pubblico.
Lo Steinbeck più conosciuto emerse alla fine degli anni ’30 con Of Mice and Men (Uomini e topi, 1937) e The Grapes of Wrath (Furore, 1939). Of Mice and Men condensava desiderio e solitudine umani nella tragica amicizia tra George e Lennie, due lavoratori itineranti che inseguono un modesto sogno di indipendenza. I dialoghi essenziali e la struttura teatrale riflettevano la capacità di Steinbeck di fondere narrazione e dramma, con un linguaggio scarno ma emotivamente incisivo.
The Grapes of Wrath è considerato il suo capolavoro. Ispirato alla condizione dei migranti del Dust Bowl, il romanzo segue la famiglia Joad nel viaggio dall’Oklahoma alla California in cerca di sostentamento e sopravvivenza. L’opera è al tempo stesso epica e intima: una denuncia dell’ingiustizia sistemica e, insieme, un omaggio alla dignità umana sotto assedio. Il libro suscitò reazioni contrastanti: fu censurato e bruciato in alcuni luoghi, celebrato in altri. Gli valse il Premio Pulitzer e consolidò la sua reputazione come voce morale dell’America durante la Grande Depressione.
La produzione di Steinbeck era però più vasta e sfaccettata di quanto lasciasse intendere il ruolo di romanziere socialmente impegnato. Era attratto dalla scienza, dal mito e dai piccoli dettagli della quotidianità. Sea of Cortez (Diario di bordo dal mare di Cortez, 1941), scritto insieme al biologo marino Ed Ricketts, riflette la sua curiosità ecologica e il senso di interconnessione tra tutte le forme di vita. Cannery Row (Vidolo Cannery, 1945) mescola umorismo, nostalgia e l’occhio attento dello zoologo per il tessuto sociale. Anche opere più leggere come Sweet Thursday (Quel fantastico giovedì, 1954) esprimono il suo consueto calore umano e la sua empatia.
Tuttavia, non mancavano le critiche. Alcuni lo accusavano di sentimentalismo, altri di ingenuità politica. Le opere della maturità, come East of Eden (La valle dell'Eden, 1952), ricevettero accoglienze discordanti. East of Eden, però, era considerato dallo stesso Steinbeck il suo vero capolavoro: una vasta saga familiare ambientata nella Salinas Valley, in cui drammatizza l’eterna lotta tra il bene e il male attraverso le generazioni delle famiglie Trask e Hamilton, ispirandosi anche alle proprie radici.
Durante la Seconda guerra mondiale, Steinbeck lavorò come corrispondente di guerra, producendo articoli successivamente raccolti in Once There Was a War (C'era una volta una guerra). I suoi resoconti univano l’immediatezza del fronte alla sua tipica solidarietà verso il soldato comune. Fu anche coinvolto in attività di propaganda per il governo, pur manifestando in seguito una certa disillusione verso l’uso politico della letteratura.
Il riconoscimento più alto arrivò nel 1962, con il Premio Nobel per la Letteratura. L’Accademia Svedese lo elogiò per i suoi “scritti realistici e fantasiosi, che combinano umorismo comprensivo e acuta percezione sociale”. La scelta fu discussa – alcuni critici ritenevano che la sua produzione migliore appartenesse al passato – ma il discorso di accettazione dello scrittore fu esemplare per umiltà, ribadendo il dovere dell’autore di testimoniare, ricordare all’umanità la propria dignità e responsabilità.
Alla sua morte, nel 1968, Steinbeck non era più soltanto un romanziere: era diventato un’icona culturale. Le sue opere erano state adattate per teatro e cinema, insegnate nelle scuole, discusse nel dibattito pubblico. Personaggi come Tom Joad e Lennie Small sono entrati nell’immaginario collettivo come simboli di resilienza, tragedia e forza morale.
Ciò che di Steinbeck continua a durare e affascinare non è solo la sua capacità narrativa, ma la sua empatia. Diede voce a chi non ne aveva: migranti, operai, solitari, emarginati. La sua prosa, apparentemente semplice, era radicata nei ritmi del parlato, ma sapeva elevarsi a cadenze quasi bibliche quando il tema lo richiedeva. Era talvolta sentimentale, sì, ma mai banale: il suo sentimento nasceva dalla profonda convinzione che l’essere umano, nonostante le sue imperfezioni, fosse nondimeno degno di pietà e comprensione.
In ultima analisi, l’eredità di Steinbeck è quella di uno scrittore che ha narrato l’esperienza americana nella sua forma più cruda: sogni infranti e rinati, famiglie distrutte e ricostruite, dignità calpestata ma irriducibile. Che fosse tra la polvere dell’Oklahoma, nei conservifici di Monterey o nelle valli fertili della California, Steinbeck sapeva trovare storie uniche e universali. I suoi romanzi ci ricordano che la letteratura, quando è grande, non si limita a osservare il mondo: insiste sulla sua possibilità di giustizia e redenzione.
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