AMARANTACEE
Il termine “amarantàcea” deriva dal greco ἀμάρανθος /amáranthos/, che significa “immortale” o “che non appassisce”. È composto dal prefisso privativo ἀ- (/a/, “non”) e dal verbo μαραίνω (/maraínō/, “appassire, seccare”). Gli antichi greci attribuirono il nome amaranto a un fiore mitico che, si diceva, non perdeva mai il suo colore acceso: un simbolo poetico di eternità.
Quando i botanici dell’Illuminismo iniziarono a classificare le piante in modo sistematico, adottarono questo nome evocativo per una famiglia i cui membri spesso prosperano in condizioni ostili, dove molte altre specie falliscono.
Le amarantacee costituiscono una famiglia ampia e variegata, con centinaia di specie distribuite in quasi ogni angolo del pianeta: dalle pianure tropicali alle coste salmastre, mostrando la stessa resilienza che il loro nome mitologico suggerisce.
Queste piante possono essere erbacee annuali o perenni, arbusti o addirittura piccoli alberi. I fiori, per lo più minuti e poco appariscenti, sono raccolti in densi grappoli piumosi, spesso di sorprendente bellezza. Molte specie si sono adattate a vivere in ambienti estremi: siccità, suoli poveri e salinità non ne ostacolano la crescita.

Fiore di amaranto.
Immagine tratta da eluniverso.com.
Foto di Pixabay.
Ma le amarantacee non si limitano al Nuovo Mondo. Anche Spinacia (gli spinaci) e Beta vulgaris (la barbabietola), con le sue radici cremisi e le foglie verdi, appartengono a questa famiglia. Molte specie della sottofamiglia Chenopodioideae, tolleranti al sale, sono diventate colture alimentari o foraggere in regioni aride. Altre, come l’Amaranthus retroflexus, sono note per essere infestanti aggressive: un promemoria che la vitalità può diventare anche invasività.
L’amaranto, grazie al suo nome e alla sua resistenza, è da sempre simbolo di eternità. Nella letteratura greca e in quella europea successiva, rappresentava l’amore eterno, la fama imperitura o l’immortalità dell’anima. I poeti rinascimentali immaginavano corone di amaranto a ornare i beati. Anche oggi, i suoi pennacchi rosso intenso e vellutati evocano qualcosa di durevole, quasi magico.
Dal punto di vista botanico, le amarantacee svolgono un ruolo ecologico importante. Molte specie sono pioniere: colonizzano per prime i terreni marginali o disturbati, contribuendo a stabilizzare il suolo e creando le condizioni per l’insediamento di altre piante. Alcune hanno sviluppato strategie fisiologiche avanzate — come la fotosintesi C4 — che permettono loro di prosperare in climi caldi e secchi con grande efficienza.
La loro tolleranza alla salinità le rende preziose anche per il recupero di suoli degradati e per l’agricoltura salina sperimentale, offrendo un possibile scenario in cui “immortale” significhi anche “capace di resistere al cambiamento climatico”.
Dai miti greci alle Ande, dalla poesia rinascimentale alla cucina vegana contemporanea, la famiglia dell’amaranto racconta una storia di sopravvivenza e significati simbolici. È allo stesso tempo umile e straordinaria: erbaccia in un contesto, supercereale in un altro; pianta pioniera e metafora poetica della fioritura eterna.
Le amarantacee ci ricordano che bellezza e resilienza non sempre fanno rumore: possono esistere in silenzio, con tenacia, come un fiore che non appassisce mai.
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