IALINO


Tra gli aggettivi che la nostra lingua ha ereditato dall’antichità, "ialino" occupa un posto discreto ma interessante. È una parola che non si incontra spesso, e forse proprio per questo conserva un’aura di limpidezza raffinata: evoca superfici trasparenti, luci nitide, oggetti che sembrano essersi formati per una sorta di solidificazione della luce.

In italiano, "ialino" significa infatti “vitreo, cristallino, trasparente”, e si applica tanto a sostanze fisiche quanto a percezioni visive o impressioni poetiche. Una “superficie ialina” è una lastra di vetro o di cristallo, ma anche uno specchio d’acqua perfettamente immobile; degli “occhi ialini” suggeriscono purezza, distanza, talvolta una fragilità luminosa. È un aggettivo che appartiene più al registro letterario che all’uso quotidiano, e forse proprio per questo conserva un certo prestigio: è essenziale, preciso, ma porta con sé un’eco dell’antico.

L’etimologia riconduce al greco ὑάλινος /hyálinos/ “di vetro”, derivato da ὕαλος /hýalos/ “vetro, cristallo”. Il passaggio attraverso il latino hyalinus spiega tanto il significato quanto l’aspetto formale della parola. In altre lingue romanze e nella terminologia scientifica internazionale permane la grafia con “h-” — hialino, hyaline.

Malgrado la sua eleganza formale, questa parola non gode tuttavia di una grande fortuna nei maggiori autori della nostra letteratura. Né il canone trecentesco né gli scrittori dei secoli successivi lo hanno adottato con frequenza: la preferenza è sempre andata a vitreo, cristallino, diafano. La rarità stessa di ialino, tuttavia, ne ha preservato l’aura limpida e precisa, rendendolo un termine che, quando scelto, appare come una piccola gemma lessicale recuperata dalla tradizione greco-latina.

Il termine riaffiora con una certa regolarità nell'ambito scientifico e tecnico: in biologia e in anatomia, dove si parla di “cartilagine ialina”, “degenerazione ialina” e di altre strutture caratterizzate da un aspetto liscio, trasparente, quasi vetroso. Qui l’aggettivo non è letterario: è esatto, descrittivo e conserva integralmente il suo valore originario.

Un uso altrettanto consolidato si trova anche in mineralogia, disciplina che si serve di "ialino" per qualificare minerali dotati di una trasparenza limpida e cristallina. È il caso del quarzo ialino, la varietà più pura del quarzo, nota fin dall’antichità e spesso assimilata al “cristallo di rocca”. In questo contesto, "ialino" indica la totale assenza di inclusioni e impurità, una qualità ottica che rende il minerale simile a vetro perfetto. Anche qui il termine opera con estrema precisione: non suggerisce soltanto trasparenza, ma una trasparenza “dura”, strutturale, quasi archetipica, che rispecchia fedelmente il significato che il greco antico attribuiva a ὕαλος.


Quarzo ialino.
Musée cantonal de géologie, Losanna (Svizzera).
Foto di
Sailiko, 2014.

Ma oltre all’uso tecnico, ciò che rende il termine "ialino" particolarmente suggestivo è la sua capacità di restituire in un tratto ciò che è puro, limpido, incorrotto. Può descrivere una luce d’inverno che attraversa l’aria senza ostacoli, il silenzio immobile di un paesaggio nevoso, o ancora la calma apparente di superfici che celano una profondità inattesa. È una parola che non urla: rischiara.

In un’epoca linguistica dominata dalla rapidità, "ialino" ci ricorda che esistono ancora termini capaci di raccontare ciò che vediamo senza ricorrere all’enfasi, affidandosi a una trasparenza quasi classica. È una parola sottile ma resistente, come il vetro che evoca — fragile nell’immaginario, eppure sorprendentemente durevole.

Una piccola gemma lessicale, insomma: lucente, discreta, e, sì, squisitamente ialina.

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